FORTE ASBURGICO, VALLE ISARCO
L’ex forte asburgico di Fortezza è situato tra il passo del Brennero e Bolzano su una delle vie di comunicazione più importanti d’Europa e sarà una delle quattro sedi di Manifesta 7 nella Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. La cittadella fortificata, voluta dall’imperatore d’Austria Francesco I, fu consegnata all’esercito austriaco dal suo successore Ferdinando I nel 1838. Fortezza aveva il compito di sorvegliare l’asse viario tra le province meridionali e settentrionali dell’impero asburgico. La costruzione del forte fu determinata da scenari militari che non si realizzarono nel corso dei decenni seguenti. Anche per questo la sua importanza andò riducendosi presto. I suoi cannoni non spararono mai un colpo. La fortificazione e la sua storia costituiscono il contesto artistico dell’esposizione di Manifesta 7.
Il progetto espositivo è intitolato Scenarios e mira a trasformare lo straordinario sito di Fortezza in uno spazio di scrittura con registrazioni voce, testi, luce e paesaggio per alterare la nostra idea di come scenari immaginari formino la nostra comprensione del passato e del futuro, dei fatti e delle possibilità. Scenarios sarà una mostra “immateriale” che si propone di spostare il luogo d’esposizione nell’immaginazione del pubblico che visiterà la fortezza ascoltando. Scrittori provenienti da differenti parti del mondo forniranno dei testi elaborati appositamente per questo contesto. Questi testi, che rifletteranno il processo di produzione degli scenari e dell’immaginazione stessa, saranno installati individualmente come registrazioni voce negli spazi interiori ripetitivi della fortezza, in un ambiente architettonico caratterizzato dall’assenza dei suoi utenti storici e degli scenari di cui essi facevano parte.
Scenarios vuole essere una riflessione critica sul ruolo che svolgono gli scenari nella nostra società e nell’immaginazione individuale e collettiva. Oggi, sebbene spesso involontariamente o inconsapevolmente, facciamo parte di “scenari” già proiettati su di noi, che ci hanno formati, che hanno predestinato la nostra esistenza, determinando situazioni ed esperienze della vita quotidiana. Il progetto ci inviterà a riflettere sul modo in cui completiamo degli scenari e delle storie diventando parte di essi. Come progetto espositivo, Scenarios non intende mostrare delle immagini, ma riflettere sul quelle che portiamo già con noi, che ci sono state imposte oppure che vengono create dall’immaginazione creativa. Ciò significa rompere esplicitamente con il regime di visibilità e con la produzione di (materiale) evidenza.
Adam Budak, Anselm Franke/Hila Peleg, Raqs Media Collective
SCENARIOS
Dramaturgy by Ant Hampton, Audio Design by Hannes Hoelzl, Furniture Design by Martino Gamper
AUTORI
Shahid Amin, Hélène Binet, Brave New Alps, Adriana Cavarero, Mladen Dolar, Harun Farocki, Karø Goldt, Larry Gottheim, Renée Green, Timo Kahlen, Karl Kels, Thomas Meinecke, Glen Neath, Margareth Obexer, Philippe Rahm, Arundhati Roy, Saskia Sassen, Michael Snow, Saadi Yousef
EX ALUMIX, VIA VOLTA 11, BOLZANO/ BOZEN
L’estrazione del valore da qualsiasi materiale, luogo, cosa o persona, richiede un processo di raffinamento. Durante questo processo, l’oggetto in questione subisce un cambiamento di stato, scindendosi in almeno due sostanze: un estratto e un residuo.
Per quanto riguarda il residuo, esso può essere definito come ciò che non riesce a trovare un proprio spazio nelle narrative manifeste di come le cose e i fatti (oggetti, persone, stati o modi d’essere) sono prodotti e trovano una propria ragione d’esistenza. Il residuo è l’accumulazione di tutto ciò che è lasciato da parte quando il valore viene ricavato… non esistono storie di residui, non ci sono atlanti dell’abbandono o memorie di ciò che una persona era ma non poteva essere.
(Raqs Media Collective: With Respect to Residue, 2005)
Cosa traspare da un secondo sguardo più vicino alla velocità dei nostri tempi e alla narrazione del progresso?
A partire da queste considerazioni, il nostro sforzo consiste nella possibilità di sottoporre tali stati di fatto ad una riappropriazione critica. L’ambiente che raccoglie la mostra è una fabbrica di alluminio in disuso a Bolzano: spazio di abbandono e residuo, l’edificio solleva molte domande sulla vita dopo l’estrazione dal ciclo originario: cosa rimane quando non si trova più nulla? Cosa può essere recuperato e ricordato? Come può il residuo diventare motore di significato?
Siamo interessati a riflettere su che cosa succede quando le cose vengono valutate come elementi preziosi del mondo. Ciò prevede un rallentamento del ritmo ed un aumento di attenzione verso i processi che normalmente cercano di nascondere le tracce che si lasciano alle spalle. In un certo senso è il tentativo di fare i conti con l’amnesia auto-appagante del capitalismo e vedere cosa può essere salvato dall’oblio a cui normalmente sono destinati i residui della modernità.
L’obiettivo di creare un network di opere d’arte e processi per uno spazio industriale abbandonato ci sembra l’opportunità perfetta per invitare gli artisti – e alcuni che non sono propriamente artisti – ad allargare l’orizzonte di questa conversazione.
Mentre l’Europa è piena di spazi ed eventi artistici che occupano ex edifici industriali, rimangono delle domande su cosa questa associazione – di ricordo di potenza industriale e di malinconia dell’abbandono – voglia significare oggi. In un certo è sintomatico della riluttanza dell’Europa a fare i conti con alcuni aspetti del suo difficile cammino nel XX secolo.
Raqs Media Collective
THE REST OF NOW
ARTISTI
David Adjaye, Stefano Bernardi, Kristina Braein, Yane Calovski, Candida TV, contemporary culture index, Neil Cummings and Marysia Lewandowska, Harold de Bree, Latifa Echakhch, Marcos Chaves, etoy.CORPORATION, Anna Faroqhi, Ivana Franke, Matthew Fuller, Francesco Gennari, Ranu Ghosh, Rupali Gupte and Prasad Shetty, Anawana Haloba in collaboration with Francesca Grilli, Graham Harwood, Nikolaus Hirsch & Michel Müller, Hiwa K, Emre Hüner, Helen Jilavu, Sanjay Kak, Zilvinas Kempinas, Reinhard Kropf and Siv Helene Stangeland, Anders Krueger, Lawrence Liang, Charles Lim Yi Yong, m-city, Teresa Margolles, Walter Niedermayr, Jorge Otero-Pailos, Martin Pichlmair, Piratbyrån Party (featuring a performance by Jem Noble), Jaime Pitarch, Prof. Bad Trip, Kateřina Šedá, Dayanita Singh, TEUFELSgroup, Meg Stuart, Melati Suryodarmo, Jörgen Svensson, Hansa Thapliyal, Alexander Vaindorf, Judi Werthein, Graham Harwood, Richard Wright, Matsuko Yokokoji,
Darius Ziura
SPECIAL PROJECTS
Hot Desking: Four broadsheets, four cities, four events
A project in collaboration with Konstfack Curator Lab
Hot Desk Paris: J’aime beaucoup ce que vous faites
Hot Desk Istanbul: Muhtelif
Hot Desk Stockholm: Site Magazine
Hot Desk Rome: Nero Magazine
Tabula Rasa: 111 days on a long table
A project by Denis Isaia in conversation with Raqs Media Collective
“The Rest of Now” will be accompanied by a print publication edited by novelist Rana Dasgupta containing texts and images by Irina Aristarkhova, Ursula Biemann, Ingrid Book and Carina Hedén, Espen Sommer Eide, Lakhmi Chand Kohli, Anders Kreuger, Ove Kvavik, J Robert Lennon, Lawrence Liang, Daniel Magnusson, Christien Meindertsma, Naeem Mohaiemen, Jeffrey Schnapp, Ravi Sundaram, Jeet Thayil, Cédric Vincent, and others.
PALAZZO DELLE POSTE, VIA S.S. TRINITA’ 27, TRENTO
Questo progetto propone di esaminare l’Europa di oggi non come un’entità geopolitica in espansione ma dal punto di vista della sua psiche o della sua anima. Trento, la città storica del Concilio di Trento, fornisce lo sfondo immediato al progetto in questa sezione di Manifesta 7.
Come un’archeologia di rovesciamenti tra il dentro e il fuori, l’io e l’altro, l’individuo e il collettivo, The Soul (l’anima) segue la svolta verso l’interno dei confini espansionistici della modernità europea e indica che la produzione, la mobilizzazione e la rappresentazione del sé interiore costituiscono una frontiera finale, un ultimo fuori.
Qui l’anima non é capita o trattata come un fatto ma come un oggetto culturale, un’allegoria per le relazioni sociali forgiate dalle idee e dalle tecniche del potere. Come nella “scoperta” di un continente, queste tecniche hanno prodotto e inventato un’entità che di certo rilevano oggettivamente. Eppure questa entità, la psiche – anche se solo intesa come la differenza tra il materiale e l’immateriale, il corpo e la mente, l’oggetto e il soggetto – non é mai stata interamente contenuta dalla scienza positivista. Le sue proprietà (l’emozione, la memoria, l’immaginazione, la fantasia, l’auto-coscienza) sono perseguitate dall’ altro, un campo minato di dislocazioni.
Fu proprio a Trento che si articolò la dottrina cattolica della relazione tra l’anima e la rappresentazione, circa cinquecento anni fa. Fu pure qui che le regole della confessione cristiana vennero ampliate per includere i fatti e i pensieri puramente proiettivi ed immaginari, effettuando in tal modo un passo importante nella costruzione del sé moderno: il controllo e l’auto-vigilanza dell’interiorità.
La storia si svolge nel corso della mostra come una serie di musei in miniatura che abbozzano dei racconti incompleti, o alternativi, racconti possibili della psiche e dell’anima. Gli studi esibiti indagano l’incarnazione del potere e le sue dimensioni effettive e cognitive, sperimentano la tradizione museale e portano a galla i paradossi della “normalità europea”, la relazione tra l’anima e l’immagine, la pedagogia non fonetica, le strutture dei sentimenti, la logica dei desideri, i test della personalità psicologica e la storia dell’antipsichiatria.
A lato di questo susseguirsi di musei speculativi, The Soul raccoglie delle nuove, speciali opere di oltre trenta artisti che lavorano in Europa ed altrove. Alcuni contributi si riconnettono con il sito dell’esibizione e con il contesto storico, politico e regionale. Altri prendono la forma di ricerche storiche “profonde” confrontandosi con i contenuti mitici della storia europea, con le tecnologie del potere e il potere delle tecnologie culturali. L’intera mostra si basa sulla ricerca di una lingua capace di identificare ed articolare nuove forme di esclusione e la possibilità di capovolgere le forme del controllo sociale.
Anselm Franke / Hila Peleg
THE SOUL
(or, Much Trouble in the Transportation of Souls)
CONTRIBUTORS
Nader Ahriman, Maria Thereza Alves / Jimmie Durham / Michael Taussig, Tamy Ben-Tor, Attila Bruni, Beth Campbell, Fabio Campolongo, Marcus Coates, Peter Coffin, Keren Cytter, Jos De Gruyter / Harald Thys, Massimiliano & Gianluca De Serio, Brigid Doherty, Omer Fast, Peter Friedl, Stefano Graziani, Tom Holert / Claudia Honecker, Karl Holmqvist, Hannah Hurtzig, Joachim Koester, Andree Korpys / Markus Löffler, Kuehn Malvezzi, Daria Martin, Angela Melitopoulos, Xisco Mensua, Valérie Mréjen, Rabih Mroué, Andreas Müller, Sina Najafi / Christopher Turner, Rosalind Nashashibi, Luigi Ontani, Ria Pacquée, Bernd Ribbeck, Pietro Roccasalva, Roee Rosen, Christoph Ruckhäberle, Natascha Sadr Haghighian, Florian Schneider, Eyal Sivan, Josef Strau, Javier Tellez, Althea Thauberger, Anne-Mie Van Kerckhoven, Barbara Visser, Klaus Weber,
Eyal Weizman
Testi in Pubblicazione:
Franco Berardi, Brigid Doherty, Tom Holert, Maurizio Lazzarato, Eva Meyer, Avi Pitchon, Renata Salecl, Michael Taussig, Anne-Mie Van Kerckhoven, Eyal Weizman, et al.
EX PETERLINI, VIA SAVIOLI 20 – MANIFATTURA TABACCHI, PIAZZA MANIFATTURA 1 – STAZIONE FERROVIARIA, PIAZZALE ORSI
Il progetto espositivo sviluppato dall’ equipe curatoriale di Adam Budak per Manifesta 7 (Nina Möntmann, Tobi Maier, Krist Gruijthuijsen, Office for Cognitive Urbanism – Christian Teckert e Andreas Spiegl), si focalizza sulla mappatura e sull’analisi dell’ecologia – sia culturale che politica- dello spazio e del suo carattere pubblico. In quanto tale, mira all’elaborazione di strategie (espositive) provvisorie e allo sviluppo di strumenti di (discussione) critica che conducano verso UN ALTRO (manifesto cortese per lo) spazio pubblico.
La nozione di “regionalismo critico”, introdotta dal teorico dell’architettura Kenneth Frampton, svolge la funzione di supporto sulla base della quale proporre una riconsiderazione del “vernacolare” e articolare un nuovo lessico attorno al concetto di trans-località. Tale idea, che definisce uno spazio pubblico come zona di scambio di molteplici valori, concentra dunque la propria area di indagine sull’individuazione del luogo “proprio” del discorso pubblico, tra una pluralità di definizioni e la precarietà caratteristica delle questioni pubbliche. Una varietà di proprietà qualitative ed economiche sarà messa in gioco: a partire dallo spazio “proprio” (proprietà), passando per lo spazio “legale” (possesso e legalità) per arrivare allo spazio autonomo (emancipazione) fino a giungere ad una precisa mappatura delle “peculiarità di un luogo particolare”.
Il regionalismo critico – “una vita locale consapevole di se stessa”- viene utilizzato come mezzo per risolvere le tensioni tra globale e locale, modernità e tradizione, costituendo in questo modo una forma di resistenza, ovvero una decisa reazione alla norma, a standard, pratiche e forme – oltre che a condizioni tecnologiche ed economiche – universali. Questo concetto solleva una serie d’interrogativi urgenti circa lo storicismo, il romanticismo nazionalistico, l’autenticità e lo Stato-nazione; inoltre apre nuove possibilità di decostruzione delle modalità di appartenenza (spaziale-nazionale-singolare) ed identificazione, utilizzando un effetto di estraniamento. Interessato agli elementi specifici di una regione, che fungono da generatori del senso di prossimità e di comunità e che risultano essere costrutti che definiscono un luogo, il regionalismo critico li incorpora in maniera “estraniante” piuttosto che “familiare”, scardinando dunque l’“abbraccio” sentimentale tra gli edifici ed i loro abitanti e scuotendone le coscienze. Secondo Frampton, pensare in termini di regioni – come agenti attivi di resistenza – conduce all’immediatezza tangibile dell’esperienza spaziale, costituisce la risposta necessaria al clima ed alla topografia, porta un senso di realtà al significato culturale della forma architettonica e apre alla possibilità d’impiegare maestranze e competenze locali nella produzione architettonica stessa. La regione Trentino Alto Adige (come ospite di Manifesta 7), ed in particolare Rovereto (come la più piccola città nella storia di Manifesta sino ad ora) con le sue location post-industrali (le sedi espositive dell’ex-Peterlini e della Manifattura Tabacchi), diventano casi di studio nel processo di ridefinizione del vernacolare in un ambiente sociale e culturale dove le suddivisioni tra pubblico e privato sembrano essere sempre più sfumate, in precaria oscillazione tra il concetto autonomo, e non ancora costituito, di post-politico, ed una micro-struttura di costruzione di un’identità comune che, emancipandosi, va oltre lo Stato.
Inoltre, la mostra considera l’etnologia dello spazio come riferimento metodologico per analizzare il locale “minore”, concreto, piccolo, apparentemente insignificante e marginale, in un paesaggio dissestato dai ritardi della ristrutturazione e della trasformazione post-industriale. La filosofia del vernacolare di Ernst Bloch e, in particolare, la sua elaborazione del concetto di Kleinstadt, completano la mappatura della matrice interregionale delle politiche identitarie. In questo contesto la Kleinstadt appare come Modello, Figura, Struttura Primaria, uno spazio per le ambiguità e le forme dialogiche di comunicazione associate alla cultura moderna; ed il vernacolare è definito come un particolare stato mentale, una “differenza di luogo”.
Nella filosofia di Bloch, la cittadina è un’area attiva, lontana da sentimenti nostalgici e di abbandono, un luogo dinamico dove la modernità incontra le proprie contraddizioni ed elabora una propria complessa grammatica di appartenenza fisica e mentale. Bloch rivendica un concetto aperto di realtà in cui il (non-ancora) Essere è concepito come Possibilità, e la Speranza è un principio dell’Essere, una forza umana che conduce verso un futuro migliore. La speranza è chimera, ma anche docta spes, un desiderio (sostenibile) e/o, al contempo, desiderio di sostenibilità. Il progetto mira a condurci attraverso i dilemmi del principio che informa e caratterizza la nostra vita, in una dimensione permanente di passaggio tra una (concreta) utopia e la promessa di un incontro reale. Come cogliere il “non-ancora” dello sviluppo (sociale e politico) dell’Essere? Come riconoscere una traccia di speranza nel frastuono retorico che ci prospetta un futuro (già) corrotto? La speranza è il delinearsi, a livello mentale, di una proiezione (ottimista) verso parametri spazio-temporali non-ancora-definiti (o, per meglio dire, non-ancora-consapevoli); un movimento verso ciò che non è ancora stato rivelato e verso l’ignoto: “uno spazio di apparizione immaginato”, un operatore del vernacolare. Come tale, la speranza risulta essere un concetto ibrido, un mediatore tra teoria e prassi, l’attore di un’identità (anticipatrice).
Uno dei capitoli principali dell’intero progetto si focalizzerà sulle convergenze e contraddizioni del “post-politico” all’interno dello spazio pubblico, e sulla sua struttura comunitaria e sedicentemente democratica. Affrontando la crescente impossibilità di un’autonomia sociale da un lato, e di un impulso emancipatorio dall’altro, lo spazio pubblico subisce un preoccupante processo di disordine identitario: come una “struttura impotente” dall’ accesso negato, ed un’area (ancora fertile e seducente) di attivismo e d’immaginazione radicale. Questa condizione, eccessivamente semantizzata, appare come gesto sopravvalutato e luogo di tracollo, rimanendo tuttavia attrattivo come zona di potenzialità e d’impegno (incondizionato): tale è lo spazio pubblico come campo di potere, in una frizione permanente tra il diritto, la potenza e la sua fragilità latente. Il progetto offre un percorso verso metodologie di resistenza atte a negoziare la legittimità dello spazio pubblico, mescolando le topografie immaginarie di “Las ruinas circulares” di Jorge Luis Borges (un amalgama di apparenza, sogni e desideri utopici), con il “parlamento attivo” di Jacques Rancière (una ricerca per un telos comunitario all’intersezione della fine della politica, e/o dell’utopia realista).
Adam Budak
PRINCIPLE HOPE – ROVERETO
ARTISTI
Alterazioni Video, Michelangelo Antonioni, Knut Åsdam, Bernadette Corporation, Margrét H. Blöndal, Michal Budny, BURGHARD, Nina Canell, Libia Castro & Ólafur Ólafsson, Claire Fontaine, Oskar Dawicki, Evelina Deicmane, Rä di Martino, Miklós Erhardt and Little Warsaw, Igor Eskinja, Tim Etchells, fabrics interseason, Famed, Didier Fiuza Faustino, João Maria Gusmão + Pedro Paiva, Heide Hinrichs, Heidrun Holzfeind, Runa Islam, Ricardo Jacinto, Ragnar Kjartansson, Barbora Klímová, Daniel Knorr, Adam Leech, Deborah Ligorio, Miks Mitrevics, Christian Philipp Müller, Ewa Partum, Gianni Pettena, Riccardo Previdi, Philippe Rahm, Pamela Rosenkranz, Janek Simon, Luca Trevisani, Tatiana Trouvé, Uqbar Foundation, Guido van der Werve, Nico Vascellari, Danh Vo, Johannes Vogl, Stephen Willats, ZimmerFrei
featuring:
AUDITORY EPODE a cura di Tobi Maier
Florian Hecker
Anna Ostoya
the next ENTERprise
Chris Watson
Zafos Xagoraris
RADIO EPODE @ Rai FM
manifeSTATION a cura di Office for Cognitive Urbanism (Andreas Spiegl, Christian Teckert)
Azra Aksamija
Andreas Duscha
Sonia Leimer
Christian Mayer
Kamen Stoyanov
Adrien Tirtiaux
Anna Witt
MATTER OF FACT a cura di Krist Gruijthuijsen
Jeremiah Day
Renzo Martens
Olaf Nicolai
Adam Pendleton
Falke Pisano/ Will Holder
Ricardo Valentim
SOCIAL ART PRAXIS a cura di Cornelia Lauf (IUAV, Venezia)
Airswap
Aspramente
Publink
PUBBLICAZIONI
PRINCIPLE HOPE. DAYDREAMING THE REGION,
co-edited by Adam Budak and Nina Möntmann, with essays by T.J. Demos, Simon Critchley, Bernd Hüppauf, Suzana Milevska, Jochen Becker, Erden Kosova, Alan Colquhoun and Gianni Pettena, conversations between Marco de Michelis and Franco Rella, Mirko Zardini and Gianni Pettena, Nina Möntmann and Ayreen Anastas & Rene Gabri, Judith Butler and Gayatri Chakravorty Spivak, art contributions by Uqbar Foundation and Christian Philipp Müller, as well as introductions by Nina Möntmann and Adam Budak.
Editorial manager: Dan Kidner